3.30.2010

Federico Ielli (di Walter Scandaluzzi)




Siamo col Dottor Federico Ielli, ittiologo e noto al pubblico piscatorio per i suoi svariati articoli scientifici e di spinning su una nota rivista di pesca e per un volume sulla trota marmorata. Nato negli anni “50 e quindi non un novellino di certo…

Aggiunge Ielli , non per narcisismo, ma secondo scienza e coscienza: Autore di un numero consistente di Pubblicazioni Scientifiche, soprattutto sui salmonidi



Il lavoro di un ittiologo in cosa consiste?

Beh, diciamo che comprende tante mansioni, più o meno specifiche. Si passa dalla consulenza privata ad Enti o Associazioni che lavorano nel settore della pesca e dell’acquacoltura (Piani di semina, disinfezioni nei laghetti di pesca sportiva, acquisto di materiali, contatto coi fornitori, ecc.,) a consulenze pubbliche nei confronti di Province e/o Regioni. In tal caso i lavori sono molto più onerosi e stimolanti, spaziando dai Piani Ittici alle Carte Ittiche (provinciali o regionali), comprendendo spesso anche perizie di danno ittico e analisi di V.I.A. per la realizzazione di centraline idroelettriche e manufatti.





I lavori di cui è più orgoglioso quali sono stati?

Senz’altro la mia prima Carta Ittica, quella della Regione Piemonte, pubblicata nel 1991. Io lavorai negli anni precedenti per la provincia di Alessandria e quello fu il mio primo incarico di rilevo. Un lavoro pesante ma di soddisfazione, anche perché erano tempi pioneristici e ci si arrangiava molto con l’iniziativa personale e con la buona volontà, vivendo un po’ da nomadi, alla giornata. Ne seguirono parecchie altre. Poi citerei la realizzazione e la conduzione, per diversi anni, dell’incubatoio di valle di Minozzo in provincia di Reggio Emilia, per la produzione di novellame di trota fario di ceppo mediterraneo da ripopolamento. Tale impianto, attivo dall’inverno 1997/1998, produce attualmente ca. 150.000 uova fecondate all’anno dalla fecondazione artificiale di riproduttori selezionati. Ah, dimenticavo le splendide esperienze con le Associazioni trentine per la tutela e la riproduzione controllata della trota marmorata.








E’ una professione che si sente di consigliare, anche sotto il punto di vista economico, ai giovani? (Caso strano ho una figlia che ha appena finito il terzo anno di scienze naturali )

Diciamo che come tutte le professioni necessita di un po’ di “gavetta”, di tanta passione e di spirito di sacrificio, ma anche di fortuna, nel senso che dipende molto da con chi si ha a che fare, quindi anche dalle conoscenze. Dopo la Laurea (che può essere in Scienze Biologiche, Naturali o in Veterinaria) le strade sono due: o si tenta la carriera universitaria (difficile, se non si hanno appoggi qualificati), oppure si sceglie la libera professione, iniziando però a farsi conoscere già in ambito universitario. Il che significa che qualsiasi attività inerente la materia ittiologica deve essere accettata, anche per pochi soldi agli inizi. Per fare un esempio, se venisse proposta da un Cattedratico una collaborazione, anche minima, per una Carta Ittica o un Piano Ittico o ancora per attività di campionamento sui corsi d’acqua, magari con successiva pubblicazione dei risultati, sarà sempre consigliabile accettare. Una volta fatte le ossa si potrà ambire a qualcosa di meglio, anche sotto l’aspetto economico. Chiaramente, oltre al Curriculum, conterà ancora una volta la fortuna. C’è da considerare che la concorrenza è oggi molto più forte che un tempo, anche perché molti colleghi sono riuniti in Società di Consulenza Ambientale ed Ittiologica in grado di inserirsi rapidamente nei vari Bandi Pubblici e/o Gare di Appalto.


Quali sono le condizioni migliori per la riproduzione di una marmorata? E per una fario selvatica? Di contro quali elementi possono fare si’ che la riproduzione vada a male?

Si tratta di specie differenti, anche se ancora in contatto genetico, per cui sono differenti le condizioni ecologiche e l’ambito temporale della riproduzione. La trota marmorata è il salmonide caratteristico del fondo valle dei corsi d’acqua alpini, con forti portate e ben definita granulometria dei fondali. La frega è anticipata rispetto a quella della trota fario, avvenendo di norma nel mese di novembre e potendosi estendere anche a buona parte di dicembre, quando le portate sono in magra. La riproduzione avviene a valle delle pools, ovvero nella parte terminale delle buche, dove l’acqua rallenta e si abbassa di livello, pur essendo ben ossigenata, su un letto di ciottoli e ghiaia, dove la trota scava un nido di grandi dimensioni. La riproduzione può essere vanificata da diversi fattori, quali una piena improvvisa in periodo invernale, evento piuttosto raro ma non impossibile, dovuta ad un repentino scioglimento delle nevi in quota per aumento delle temperature e forti piogge. Anche la momentanea apertura/chiusura di una diga, con forti sbalzi di livello a valle, o lo svaso di un bacino artificiale non controllato possono determinare la mortalità pressoché totale delle uova già deposte. La trota fario, per contro, è il salmonide tipico dei corsi d’acqua con caratteristiche torrentizie, sia dell’Appennino che dell’Arco Alpino. Le popolazioni naturali si riproducono in quota, verso le sorgenti, che tendono a raggiungere, se non vi sono impedimenti di sorta quali dighe, briglie ecc. La frega è più tardiva rispetto a quella della trota marmorata, essendo localizzata, per le popolazioni dell’Appennino Nord occidentale, nei mesi di dicembre e di gennaio. Quanto detto si riferisce alle popolazioni indigene di ceppo mediterraneo, mentre quelle introdotte, di ceppo atlantico, possono avere un range riproduttivo assai più esteso e fregare anche nel fondo valle. Questo è una delle cause di introgressione genetica con la trota marmorata nei punti di contatto. Per quanto riguarda le turbative, beh diciamo che le captazioni ad uso idroelettrico/potabile già alle sorgenti e l’asportazione di materiale litoide, indispensabile per la realizzazione dei nidi di frega, nonché la presenza/costruzione di nuovi sbarramenti, che deprimono la risalita, sono alla base dell’insuccesso riproduttivo.






Secondo un suo collega la lacustre deriva solo dalla marmorata mentre conoscenti che riproducono la lacustre del lago maggiore mi dicono che le giovani lacustri hanno livree da fario. Come è sta storia?

La maggior parte degli ittiologi è concorde nel ritenere che la trota “lacustre” non esista come buona specie, ma semplicemente come ecotipo di adattamento della trota marmorata o della trota fario all’ecosistema lacustre. E’ probabile che per alcuni grandi bacini del Nord, come il Lago Maggiore ed il Lago di Como, i cui immissari/emissari ospitano o ospitavano popolazioni di trota marmorata, le catture di grosse trote “lacustri” siano da attribuire a questa specie. In altri casi, come per il Lago di Garda, i cui immissari/emissari non ospitavano probabilmente in origine la trota marmorata, le catture di trote “lacustri” siano invece ascrivibili alla specie trota fario. Naturalmente occorrono studi aggiornati su queste popolazioni per giungere ad una sentenza definitiva, anche di carattere genetico. Tuttavia un grave problema aggiuntivo deriva dal fatto che le pratiche ittiogeniche hanno completamente stravolto le popolazioni originarie, cosicché nei laghi è finito di tutto, in particolare trote fario di ceppo atlantico e pseudo “lacustri” acquistate oltre confine, con conseguenti fenomeni d’ibridazione delle popolazioni indigene ed ulteriore confusione tassonomica.


Mettendo ad ipotesi che la riproduzione artificiale di una una iridea che raggiunga i 6-9 cm costi x quanto costa in % quella di una fario e di una marmorata della stessa taglia?

La trota iridea costa poco, così pure una trotella fario di ceppo atlantico. Una trotella fario di 4-6 cm di ceppo mediterraneo geneticamente “certificata” può costare attorno ai 20 centesimi di Euro, molto dipende dal quantitativo di vendita. Se si passa alla taglia superiore (6-9 cm) il prezzo può salire sino a 30-40 centesimi di Euro. Una trotella marmorata della stessa taglia anche 50 e passa centesimi di Euro. Anche in tal caso molto dipende dal quantitativo di vendita e dalla certificazione genetica. Sul mercato si trovano parecchi ibridi.


La domanda è stata fatta per far capire ai lettori perché si immettono molte meno trote mormorate e trote fario mediterranee certificate delle altre.



Non crede che il piano ittico e le semine di ogni singola provincia debba essere esclusivo affare di uno o di uno staff di ittiologi?


Si, decisamente, non ho alcun dubbio in merito. Non per nulla esiste la nostra Associazione (A.I.I.A.D.) che raggruppa i professionisti del settore e li raccomanda alle varie Amministrazioni Pubbliche per l’esecuzione degli interventi specifici. Purtroppo, e ne ho esperienza diretta, accade che la politica locale abbia ancora una rilevanza notevole nelle scelte di gestione, più o meno influenzate da lobbies che coinvolgono le stesse Associazioni di pescatori e i fornitori. Le gare d’appalto per le forniture ittiche vengono spesso vinte dagli stessi fornitori che, in alcuni casi, sono anche quelli che indirizzano e condizionano i Piani Ittici e di semina. Bisognerebbe fare un po’ di pulizia e di chiarezza in questo campo.


I gestori del sito sono dello stesso parere e aggiungono che molte volte le associazioni di pescatori guardano solo al carniere e non alla qualità dello stesso e non si capisce (o si capisce…..) perché nelle consulte vi siano figure come gli allevatori ittici o i gstori dei cosidetti laghetti a pagamento.


Sulla questione alloctoni e in special modo sul Siluro quale è la sua idea visto che molte amministrazioni lo sopprimono ed obbligano al non rilascio?


La mia Regione (Emilia-Romagna) è una tra quelle che ha legiferato in materia, vietando la reimissione delle specie alloctone. Tale provvedimento vale soprattutto nel caso del siluro:

Mediante Deliberazione della Giunta Regionale n. 1574 del 3/7/1996, stabilisce ben precise regolamentazioni per il contenimento della presenza del siluro. Tra queste, oltre al divieto di reimmissione, ne viene incentivato lo smaltimento (distruzione, commercializzazione), previo momentaneo stoccaggio (insieme a carassio e carassio dorato) in bacini di stabulazione appositamente realizzati dalle Province in collaborazione con le Associazioni piscatorie.

Dal punto di vista pratico il sistema non è di facile realizzazione, soprattutto per il singolo pescatore. Viceversa ritengo che interventi mirati nei confronti di questa specie ittiofaga, che di danno ne fa e molto, anche se non è l’unico responsabile, debbano essere intrapresi con metodiche alternative, che hanno già fornito risultanti incoraggianti. Tra queste, la cattura selettiva dei riproduttori in occasione di svasi (totali o parziali) dei corpi idrici per lavori di manutenzione a “botti sifone”, paratoie, sbarramenti, ecc., mediante reti. Interventi di questo tipo sono già stati effettuati nella mia provincia in alcuni canali di bonifica, con risultati incoraggianti. Gli esemplari catturati sono stati venduti oltralpe e con il ricavato si è acquistato materiale ittico di pregio per il ripopolamento delle acque. Negli anni successivi all’asportazione dei grossi riproduttori dai canali la presenza del siluro si è notevolmente ridimensionata e sono ricomparse alcune specie ittiche minori, tra le quali l’alborella ed il pesce gatto. Naturalmente è impensabile un’eradicazione totale della specie, anche perché tutti gli anni entrano nei canali nuovi esemplari con l’acqua derivata dal Po. Tuttavia interventi più ravvicinati nel tempo permetterebbero di tenere controllata la popolazione.





Quali alloctoni ritiene siano i più pericolosi per gli autoctoni e quali i meno pericolosi?

Mah, qui c’è da scatenare un vespaio. Tutti gli alloctoni sono potenzialmente pericolosi, in quanto tutti, più o meno, tendono ad occupare una nicchia lasciata vacante da una specie indigena meno resistente o, addirittura non più presente. E’ il caso di Barbus barbus nei confronti di Barbus plebejus nel Po o del lucioperca nei confronti del persico reale nello stesso areale. E’ chiaro che nel primo caso, quello del barbo europeo, sarebbe pericolosissimo che popolazioni di questa specie entrassero in contatto genetico con quelle residuali di barbo italico ancora presenti negli affluenti appenninici e alpini. Ma c’è di più: che dire di tutte quelle specie di ciprinidi come i vari abramidi, rutilo (gardon) e aspio che si stanno piano piano sostituendo agli indigeni tinca, triotto e cavedano? E poi ci sono i predatori, siluro in testa, che mangiano pesce e tanto, Ormai è assodata una cosa. I nostri ecosistemi fluviali non sono fatti per ospitare questa grande specie dell’Est, non lo sono mai stati. Una volta nel Po c’era lo storione, ora scomparso, a parte il piccolo cobice (Acipenser naccarii) che viene allevato. Ma lo storione, mi riferisco allo storione comune (Acipenser sturio) e al grande ladano (Huso huso), era si un grande pesce che però si nutriva soprattutto di crostacei e di molluschi e solo occasionalmente di pesci. Il siluro, invece, oltre a cibarsi quasi esclusivamente di pesce, a partire da certe taglie corporee, ha colonizzato ormai non solo il Grande Fiume ed il primo tratto degli affluenti, ma anche tanti ecosistemi minori, come bozzi, lanche, canali di bonifica, fontanili, laghi e laghetti: tutti ambienti elettivi per la riproduzione delle specie indigene di pianura, con effetti nefasti sulle giovani leve (tinca, luccio), già in difficoltà a causa del degrado dell’ambiente. Mi sembra che tale situazione sia innegabile, anche da parte dei sostenitori ad oltranza del siluro.




Il cavedano si ibrida?

Si, il cavedano (Leuciscus cephalus) si ibrida con altri ciprinidi. In particolare sono abbastanza frequenti le ibridazioni con altri Leuciscini come il vairone e la rovella, che danno luogo a soggetti intermedi, attribuiti da alcuni Autori a buona specie (cfr. Leuciscus lucumonis o cavedano dell’Ombrone). Ibridazioni potrebbero manifestarsi anche con specie aliene appartenenti allo stesso genere del cavedano (Leuciscus.).






Quali sono i limiti termici (inferiore e superiore) e di ossigenazione di pescegatto, bass e cavedano?

Tralascerei questa domanda, in quanto richiede la consultazione specifica di bibliografia specifica per non fornire dati approssimativi. Comunque:
Pesce gatto (Ictalurus melas): 0-35 °C; ottimale 4 ppm, mai inferiore a 2 ppm.


Sappiamo che il carassio si ibrida colla carpa ma quali sono altri pericolosi incroci con i nuovi arrivati?

Ho già risposto prima. Sono frequenti e probabili gli incroci tra Barbus barbus e Barbus plebejus, forse attualmente quelli maggiormente a rischio, poi tutti quelli che coinvolgono nuove specie introdotte che appartengono allo stesso genere di quelle indigene. Potrebbe essere il caso del naso o savetta dell’Isonzo (Chondrostoma nasus) nei confronti dell’autoctona savetta (Chondrostoma soetta) o del rutilo o gardon (Rutilus ruilus) nei confronti dell’autoctono pigo (Rutilus pigus) e del triotto (Rutilus erithrophtalmus).







Grazie molte da parte mia, di Damiano e di tutti i lettori per la sua gentilezza Dottor ielli. Se ci incontreremo una bevuta le è assicurata…Non basta, almeno anche un panino……..

Al Dottor Ielli proponiamo:

Pseudorarbore con qualche Alborella fritte ed Agoni sotto aceto (rigorosamente del Lago Maggiore visto che il DDT gli dà più gusto )
Risotto al persico reale
Linguine alla Bottarga di Luccio
Filetti di Gardon impannati
Tranci di siluro del Sesia alla griglia
Anguilla in umido

Altri interessanti scritti del Dottore li potrete trovare cliccando QUI


3.26.2010

ittiologo Cesare Puzzi sul progetto di contenimento delle specie alloctone nel Lago di Varese (di Damiano Merlini)

Eccoci con il Dr. Cesare Puzzi, veterinario ittiologo presso GRAIA s.r.l (www.graia.eu), una delle maggiori società italiane ad occuparsi di ecologia acquatica, acquacoltura, ingegneria ambientale e ittiologia.

Siamo qui per parlare del progetto di contenimento del Siluro nel Lago di Varese e di tutto il piano di recupero messo in piedi per queste acque.


Dr. Puzzi, prima di tutto la ringrazio per la sua disponibilità nel rispondere a queste mie domande e vorrei subito chiederle da dove nasce questo progetto e attraverso quali collaborazioni lo porterete avanti.

Grazie a Lei per la divulgazione che potrà dare al progetto, che come ogni altro progetto di questo genere può dare risultati a lungo termine soprattutto per le attività di sensibilizzazione e divulgazione. Il progetto nasce dall’evidenza dell’espansione di specie ittiche esotiche nelle nostre acque e dall’esigenza di tutelare la fauna autoctona e la biodiversità, con particolare attenzione alle aree protette. E’ una iniziativa della Provincia di Varese, Servizio Pesca, che è il capofila di progetto e che agisce in partenariato con il Parco Lombardo della Valle del Ticino. Prevede la collaborazione della Cooperativa Pescatori del Lago di Varese, dell’incubatoio ittico del Tinella, della FIPSAS di Pavia. Siamo poi coinvolti noi di GRAIA per la supervisione scientifica e la consulenza tecnica e la Fondazione Cariplo che cofinanzia il progetto.
L’area di intervento è data da ambienti compresi in Zone di Protezione Speciale (ZPS), Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Riserve Naturali, poiché l’obiettivo principale è la tutela della biodiversità. Si andrà ad operare sul Lago di Varese (ZPS), Lago di Comabbio (SIC), Palude Brabbia (Riserva Naturale), Fiume Ticino (ZPS e vari SIC).
Il dato di partenza, data la progressiva espansione del siluro, è anche la dimostrata pericolosità delle specie aliene, animali o vegetali, per gli ecosistemi. In ambito acquatico il siluro è particolarmente invasivo, come dimostrato dai lunghi studi effettuati sul Ticino dal Parco Lombardo nel corso di due progetti Life Natura: uno relativo alla conservazione della Trota marmorata e del Pigo, l’altro relativo allo Storione cobice. In entrambi i progetti il siluro del Ticino è stato ampiamente studiato, nei suoi vari aspetti di autoecologia e di rapporti interspecifici, ed è stato messo a punto un protocollo di contenimento.


Se le è possibile può spiegarci quali sono i passaggi di questo piano? Immagino che siate partiti dallo studio dell'impatto delle specie aliene sull'ecosistema, qual è il passo successivo?

Il progetto prevede la creazione di un network per il controllo del siluro nelle aree di progetto in favore della biodiversità. Quindi in primo luogo una condivisione delle conoscenze raccolte e una scelta di lavorare insieme per l’obiettivo comune di fronteggiare le specie aliene. Il loro impatto è ampiamente documentato da tantissimi studi e ricerche e dai maggiori Enti di gestione e di ricerca vengono suggerimenti e sollecitazioni a contrastare tali specie. Quindi, accertato che l’obiettivo generale va nella direzione giusta, sono state individuate azioni specifiche di contrasto, con la consapevolezza che non sarà possibile eradicare le specie aliene, ma che si potrà contrastare la diffusione di quelle più invasive e favorire le specie autoctone. Gli Enti potranno disporre di indicazioni e di protocolli gestionali di contrasto delle specie aliene che ottimizzino gli sforzi e massimizzino i risultati.


Sulla stampa si è dato molto risalto al Siluro, ma non è l'unica specie alloctona e invasiva prensente nelle acque del lago. Quali sono le altre? E quali i danni che portano alla bio-diversità tipica di questo ambiente?

Le altre specie ittiche aliene sono numerose, con diversi gradi di invasività e di pericolosità. Nel Lago di Varese e di Comabbio le più diffuse sono il carassio, il pesce gatto, il gardon, il lucioperca e il persico sole , considerando la carpa para-autoctona. Nel Ticino ci sono anche l’aspio, l’abramide, la pseudorasbora, il rodeo amaro, il cobite di stagno orientale. Ognuna di esse può causare un danno alla biodiversità locale, in vari modi: predazione diretta, competizione alimentare, competizione per i rifugi, ibridazione. Ad esempio il gardon, nell’ambito del progetto life su marmorata e pigo, è stato dimostrato che si incrocia con il pigo, ma anche con il triotto, dando luogo a prole fertile. Ciò comporta un rimescolamento fra tre specie anticamente separatesi, che può portare alla perdita di due patrimoni genetici, del pigo e del triotto.


Quali saranno le attività che fungeranno da contrasto diretto alla diffusione di queste specie? Avete previsto pesche selettive?

Sì, la pesca selettiva negli ambienti di progetto sarà effettuata intensamente. Saranno catturati i siluri (e gli altri esotici indesiderati, che le normative regionali lombarda e piemontese impongono di sopprimere) con reti a grande maglia nei laghi, con elettropesca sulle rive in periodo di frega, con elettropesca in fiume sui rifugi e sulle freghe. Laddove manchino informazioni ecologiche sul siluro o su altre specie, come nel Lago di Varese, le pescate produrranno molto materiale biologico sul quale studiare. Vogliamo sapere che cosa mangiano, quando si riproducono, dove depongono le uova, quante ne depongono, quanto crescono in lunghezza e in peso, che comportamenti assumono. Conoscere bene questi aspetti permetterà di combattere meglio i pesci indesiderati.


Una delle peculiarità di questo ambizioso progetto è quella di tentare la strada della reintroduzione di specie autoctone che fungano da naturali competitori e vadano ad occupare nicchie ecologiche ora occupate da pesci alloctoni. Quali saranno le specie di cui tenterete la reintroduzione?

Più che una reintroduzione si tratta di ripopolamento, poiché le nostre specie-bersaglio sono rarefatte o in declino, ma ancora ci sono. Si andranno a seminare molti lucci, una specie che soffre moltissimo la competizione del siluro. Consideri che la campagna di semina del luccio è in corso in questi giorni e che l’incubatoio del Tinella ne ha prodotti circa 300.000, e l’incubatoio del Parco Ticino, localizzato presso il Centro Parco della Fagiana a Magenta ne ha prodotti altri 200.000.
Le semine vengono fatte in modo molto capillare, distribuendo poche unità alla volta nei canneti per ottimizzarne la resa. Nel Lago di Varese viene inoltre seminata l’alborella e la trota lacustre. Nel Ticino vengono poi seminati giovani di trota marmorata, di pigo, di storione cobice.


Avete previsto anche attività formative e di informazione rivolte a quanti si interessano a questi temi? Penso in particolare ai pescatori dilettanti che vivono il lago da vicino.

Sì, sono previsti momenti di divulgazione e di sensibilizzazione. Sarà a breve pubblicato anche sul web il progetto con il suo avanzamento dei lavori. Il progetto ha durata triennale e periodicamente ci saranno aggiornamenti. I pescatori dilettanti che vivono il lago da vicino possono partecipare al progetto contattando la provincia, il parco o noi in qualsiasi momento.


L'argomento alloctonia è molto dibattuto anche tra i pescatori sportivi. C'è chi in loro vede una delle principali cause del declino di molti ambienti, altri invece sostengono che la loro diffusione è una conseguenza del calo drastico di altre specie, dovuto principalemente ad inquinamenti chimico-batteriologici e dalla sistematica distruzione e antropizzazione degli ecosistemi acquatici. Lei che è così vicino a questi temi e che ha a disposizione dati scientifici, quale idea si è fatto?

Personalmente sono convinto che il declino di molti ambienti abbia come prima causa la distruzione o l’alterazione dell’habitat acquatico: rettificazione delle sponde, argini, derivazioni idriche, inquinamenti, frammentazioni di ogni tipo, distruzione dei canneti lungo le sponde lacustri. Queste sono le cause vere del declino dei nostri pesci.
Ad esse se ne sommano altre: le specie esotiche, che in ambienti alterati hanno il sopravvento sulle specie autoctone grazie alla loro adattabilità e versatilità, i cormorani che in alcuni casi fanno un completo repulisti dei pesci o lasciano banchi massacrati dalle beccate.
Ma ricordiamoci che prima di tutto c’è l’habitat acquatico da recuperare.


Molti pescatori ritengono che le leggi che obbligano alla soppressione della fauna alloctona siano un errore e che siano solo un modo per impoverire ulrteriormente le nostre acque. Da studioso, pensa che questo obbligo possa essere effettivamente utile al controllo sulla proliferazione di questi animali?

No. L’obbligo alla soppressione non è particolarmente utile al controllo sulla proliferazione degli esotici (anche se la rimozione di grossi siluri da un piccolo lago a qualcosa serve). E’ però estremamente importante il messaggio che le norme trasmettono: “Questi pesci sono dannosi e vanno soppressi. Pensaci bene prima di portare in giro queste o altre specie esotiche, perché potresti portare un danno all’ecosistema, alla biodiversità e dunque a tutti noi!”


Ringraziandola ancora per la gentilezza e per il tempo dedicatoci vi invitiamo a visitare il sito di GRAIA S.R.L (http://www.graia.eu) per avere tutte le informazioni relative alle attività svolte da questa società.


Damiano Merlini

3.22.2010

Alberto Rossini presidente FIPSAS Novara



La provincia di Novara è situata in una zona ricca di acque dove primeggiano i Fiumi Ticino, Sesia, i Torrenti Agogna e Terdoppio oltre ad una miriade di canali grossi, medi, piccoli, roggie e fontanili. A parte torrenti le altre acque sono suddivise come gestione al CAGeP e alla FIPSAS anche se a partire dal 2010 vi è una proficua collaborazione con la finalità di unificare quasi tutto nel 2011. Senz’ altro la FIPSAS NO è fra le più attive e fra le migliori come gestione delle acque e intervistiamo il suo presidente Alberto Rossini.



Sbaglio signor Rossini a dire che restano fuori solo “riserve sociali” tipo i laghi di Obbiadino, il Gazzurlo e la lanca Croce?

Prima cosa intendo ringraziarla per il complimento fatto sulla gestione delle acque,
che ,come ben sa ,non dipende da me direttamente ,ma da un’accurata gestione fatta negli anni precedenti e dai collaboratori della sezione .
Si in parte è vero, restano fuori solo le gestioni particolari dei laghetti, ma non bisogna dimenticare che, anche se il rapporto con la provincia è ad oggi idilliaco, le acque pubbliche esistono ancora e sono fruibili da tutti senza alcun versamento aggiuntivo, tra cui due tra le acque più rappresentative della provincia l’Agogna e il Terdoppio e non da ultimo il lago d’Orta.


Questa collaborazione da quali esigenze parte?

Come ben sa l’ultima legge sulla pesca e il regolamento attuativo hanno fatto si che molti si disinnamorassero di una delle attività sportive più diffuse fino ad una decina di fa . L’esigenza parte dal fatto che se le due associazioni più importanti della provincia trovano linee di operatività comuni il risultato non si presenta moltiplicato, ma elevato al quadrato. Per farle un po’ di storia le dirò che tutto nasce al momento di costituire la Consulta pesca Provinciale. In quell’occasione mi sono trovato per la prima volta a quattrocchi con Pellò (presidente CAGEP) ed è subito stato un fiorire di idee su come trasformare e ridare vita alla pesca in provincia. Da qui nascono le idee per gli incubatoi, i tratti di tutela, la collaborazione nei recuperi e la stesura di un unico tesserino segna catture. E tante altre proposte le stiamo valutando.


Per capire meglio la grande quantità di acque che l’ unione potrà disporre consigliamo di visualizzare la mappa acque del CAGeP QUI e di vedere la foto sottostante per quanto riguarda la FIPSAS NOVARA.
Su quanti incubatoi, e di cosa, potrà contare la nuova gestione?

Ad oggi possiamo contare su due impianti di schiusa ed accrescimento degli avannotti. Uno FIPSAS, gestito in modo impeccabile dalla società Bassa Valsesia a Grignasco , ed uno APD a Veveri. Stiamo inoltre procedendo ad ultimare l’incubatoio di valle per la produzione della trota marmorata a Obbiadino. Destineremo poi le singole specie ittiche nei diversi incubatoi al fine di regolarizzare le immissioni con la certificazione degli stessi. Ad oggi posso dirle che riusciamo a produrre circa 300.000 avanotti di fario e circa 50.000 di trota marmorata, innumerevoli sforzi stiamo facendo anche per il luccio, ma non sono in grado ora di quantificare. Negli ultimi giorni abbiamo anche individuato un sito dove stabulare i riproduttori di marmorata , i progetti come vede sono tanti, mi auguro che con la collaborazione di tutti si riesca a portarli a termine .





La situazione di Lucci e cavedani come è nelle acque novaresi?

Non posso dire sia una situazione drastica, anzi tutt’altro. Si deve considerare che con l’insistente presenza dei cormorani nei tratti di fiume dove si trovavano originariamente queste specie, le stesse non si sono sviluppate in grande quantità nelle rogge e nei canali del basso novarese, dove l’avifauna ittiofaga ha meno possibilità di successo. Questo ha creato un progressivo spopolamento dei fiumi a favore di tratti meno frequentati e conosciuti.


Per le trote marmorate si può dire il Sesia ne ospita ancora in numero discreto mentre nel Ticino sono rare nonostante numerosi piani attuati dai 2 parchi del Ticino? Perché questo secondo Lei?

Bisogna tenere in considerazione che negli anni c’è stata una vera e propria rivoluzione naturale, dall’aumento delle temperature medie, all’arrivo dei cormorani, ma non bisogna dimenticare che è stata in primis la mano dell’uomo che ha influito notevolmente sui cambiamenti del Ticino. La costruzione di sbarramenti, l’inquinamento e tanti altri fattori, hanno fatto si che venisse letteralmente stravolta l’originaria identità del Fiume Azzurro . Tutti i progetti attuati fino ad ora sembrano vani, ma ritengo che sia solo un indagine conoscitiva a livello scientifico che potrà dirci se il Ticino potrà tornare, con molto impegno, la culla di una nuova vita.




Ha voglia di parlarci un po’ dei laghetti di Obbiadino?

Visitateli !!!!!
Trota , mosca, carp-fishing, carpodromo e stiamo pensando, rinaturalizzando alcune sponde , di proporre la pesca al bass.
Che altro , tutte le notizie sui regolamenti le trovate sul sito FIPSAS Novara .






Mi permette di andare sulla parte amministrativa?….Quanti sono i soci FIPSAS Novara e quanti in Italia? Se lo sa ovviamente.

Sono circa 3000, 22000 in Piemonte e, non vorrei sbagliare, 230000 in tutta Italia,
siamo in pratica la quarta federazione sportiva nazionale, dopo calcio ,basket e pallavolo.


In percentuale quanto và alla sede centrale di ogni tessera e come sono usati quei soldi?
Non ci sono segreti, i bilanci sono pubblici . Vanno alla federazione 12 euro, ritornano puntualmente ogni anno per gli affitti dei diritti ittici, come contributo agli impianti federali e non ci dimentichiamo che una parte della tessera è versata come assicurazione personale .Ci sono poi le gestioni delle nazionali e di tutti i campionati indetti dalla sede centrale.


Molti si chiedono cosa ci faccia il Rugby subacqueo o il nuoto pinnato nella FIPSAS…..

Siamo una grande famiglia di sportivi e a tutto titolo ci entrano tutti quanti gli sport che hanno a che fare con l’acqua. Lei è un pescatore sportivo, anche se non fa dell’agonismo, con molto criterio la federazione è divisa in settori che gestisco in modo differenziato ogni singola passione.


Quali sono i grossi problemi da affrontare nel novarese?

Direi che i problemi più grossi li abbiamo ricevuti dalla Regione. Il nuovo regolamento ha molto influito sulla perdita di appassionati, ed abbiamo discusso molto sul testo “Tutela degli ambienti acquatici …. Ecc.”, al fine di non dover mettere nuove briglie alla pesca in Piemonte. Per quanto riguarda in modo specifico la Provincia di Novara, penso che uno dei problemi più grossi sia l’inquinamento che è presente in modo ancora rilevante nelle nostre acque, altro è il problema del deflusso minimo vitale e delle scale di rimonta . Per il resto penso che con la passione che ci contraddistingue e con i nuovi orizzonti a cui ci stiamo affacciando si possa nei dovuti tempi rimettere quasi tutto a posto .
Mi permetta di ringraziare i collaboratori dell’assessorato caccia e pesca della Provincia che ci stanno dando un grande aiuto e un grazie va in modo particolare all’assessore, sempre disponibile e soprattutto sensibile alla nostre problematiche.




La ringraziamo per la sua disponibilità ed auguriamo PETRI HEIL a tutti i pescatori novaresi.





3.19.2010

Intervista a Gianluca Polgar



Come ogni pescatore sono fortemente attratto da tutto quello che si muove sotto la superficie dell'acqua(soprattutto se si può pescare :-) ) e naturalmente il modo migliore per portarsi il mondo sommerso dentro le mura di casa è quello di allestire un acquario... ma esistono anche pesci che passano la maggior parte del tempo fuori dall'acqua, arrampicati su un ramo o intenti a scavare profonde buche nel fango della loro vasca: sono i Periophthalmus, dei curiosi esseri che sicuramente a noi pesca-telespettatori amanti di Sampei, saranno più familiari se chiamati col nome di Matsugoro.

Ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo dell'acquariofilia proprio quando a casa mia è arrivata quasi per caso una di queste sorprendenti creature e se ad oggi il piccoletto gode di ottima forma e cresce rapidamente, lo devo soprattutto alla disponibilità di Gianluca Polgar, dottore di ricerca in Scienze Ecologiche presso l'Università "La Sapienza" di Roma, che attraverso un fitto scambio di mail mi ha guidato dalla A alla Z nella creazione di una vasca adatta ad ospitare il pesce nel miglior modo possibile e mi ha dato tutte le informazioni necessarie per consentrgli un'esistenza tranquilla.

Approfittando ancora una volta della sua disponibilità lo abbiamo intervistato e vi invitiamo a visitare il suo sito e a scoprire il suo lavoro http://www.mudskipper.it/ita/indexIT.html

Parto con la domanda più banale, ma che a dire il vero mi sono posto fin dai nostri primi scambi di e-mail: come nasce la passione per questa particolare famiglia di pesci?

Ho avuto la passione dell’acquario sin da quando avevo sei anni. Da piccolo i pesci tropicali mi affascinavano soprattutto per i loro colori: mi sembrava che attraverso il vetro potessi sfiorare quelle delicate sfumature di luce. Sono sempre cresciuto con la passione per il mondo naturale, e ho sempre avuto la casa piena di animali, con buona pace dei miei (soprattutto di mia nonna): insetti, crostacei, molluschi, anfibi, rettili, uccelli, cani... e naturalmente, pesci. Sono arrivato ad avere fino a 13 vasche fra acquari e terrari, prima di trasferire la mia piccola “serra” in cantina.

La passione per i “saltafango” (una mia libera traduzione di “mudskippers”, o gobidi oxudercini: Gobiidae, Oxudercinae) risale ai tempi dell’università. Quando ho iniziato ad interessarmi a questo gruppo, intorno al 1990-1995, se ne sapeva veramente molto poco. Così ho pensato di cercare di offrire un mio contributo. Quanto al motivo personale, c’è bisogno di spiegare come mai un naturalista fanatico dei pesci s’innamori follemente di un pescetto che esce fuori dall’acqua con una faccia da rana e l’espressione imbronciata di un cartone animato? Quando poi li ho visti per la prima volta sul campo, in Malaysia (1996), il loro fascino mi aveva oramai del tutto soggiogato: mi sentivo come Alice nel Paese delle Meraviglie che cammina fra granchi, cinghiali, lucertole, scimmie e pesci anfibi.

Più avanti con gli anni alla passione si è aggiunto l’interesse scientifico: alcuni gobidi oxudercini sono senza dubbio i pesci viventi con il grado di adattamento più estremo alla vita anfibia; e poiché il gruppo include anche specie con adattamenti intermedi e specie quasi del tutto acquatiche, i saltafango possono raccontarci la storia di quella meravigliosa avventura che è stata la loro transizione ecologica ed evolutiva dall’acqua verso terra. Dal momento che questo è anche uno dei temi più importanti dell’evoluzione biologica dei vertebrati, potrebbero anche insegnarci qualcosa sul nostro stesso trapassato remoto, 360-350 milioni di anni fa.





Guardando il tuo curriculum sul tuo sito leggo che hai fatto molte ricerche sul campo: Papua Nuova Guinea, Australia, Malaysia etc etc... insomma tutti posti dove i comuni mortali sognano di andare per spaparanzarsi al sole su una spiaggia, mentre tu stai con le gambe nel fango a cercare Perio... tra tutti questi viaggi ce n'è uno che ti ha dato maggiori soddisfazioni per il tuo lavoro o del quale hai un ricordo particolare?

Beh, come ho detto la Malaysia è stata il mio primo amore, quello che non si scorda mai. Sono tornato più volte in questo paese, anche perché è la regione geografica con la massima diversità del gruppo per numero di specie. Ma di recente l’esperienza in Papua Nuova Guinea è stata unica nel suo genere. Viaggiare in aerei twin-otters per missionari; perdermi nel delta del Fly River in una barchetta a motore con un solo barile di carburante, con un GPS e un portatile mezzo scarichi e una radio che funzionava una volta si e due no; battere sentieri battuti per generazioni solo da uomini a piedi scalzi; soffrire l’emicrania da disidratazione; accendere il fuoco con i legnetti; rischiare di essere ad ogni passo azzannato da coccodrilli, serpenti, bull-sharks e quant’altro (a parte gli immancabili sciami di zanzare e similari); e soprattutto prendere le prime foto dal vivo di alcune specie quasi ignote alla scienza, mi ha dato la sensazione di essere un esploratore dell’800.

Lo rifarei domani.



A quale progetto ti stai dedicando attualmente?

Mi sto ancora dedicando alla pubblicazione dei dati raccolti durante il mio dottorato di ricerca, che è durato 3 anni con borsa più uno senza borsa, e che ho finito l’anno scorso. Mi sono dottorato con quattro articoli scientifici, ma ne ho ancora parecchi nel cassetto, a parte diverse collaborazioni che ancora continuano, come quella con il museo di storia naturale di Londra, e con vari gruppi in Italia e all’estero. Al momento nel forno c’è la possibilità di andare a lavorare in Malaysia entro quest’anno.

Sono un ecologo evoluzionista, ed essendo anche naturalista la mia ricerca è per vocazione mirata alla descrizione di uno scenario sintetico. Il mio sogno è riuscire a studiare questo gruppo e la sua diversificazione nello spazio e nel tempo, per cercare di capire come mai questi pesci siano diventati quelli che sono, discendendo dai loro antenati acquatici. Mi sono occupato e mi sto occupando dei loro parassiti, della loro distribuzione spaziale a livello di habitat, della loro sistematica e filogenesi, della loro biogeografia e filogeografia, dei rapporti fra le loro forme e la loro ecologia, dei loro adattamenti alla vita semi-terrestre, del loro comportamento, delle relazioni che hanno con i loro predatori e le loro prede. Non uno: mille progetti!


Ma passiamo a qualche domanda sui tuoi pescetti... Per noi acquariofili i Perio sono pesci quasi sconosciuti, ma da quanto so ci sono specie che per molti aspetti lo sono anche per ittiologi, biologi, naturalisti e addetti ai lavori di ogni genere; quali sono i punti ancora "oscuri"?

Se lo studio scientifico della sola specie Homo sapiens offre ancora inimmaginabili prospettive e affascinanti misteri, quali ad esempio quelli sfiorati dai recenti sviluppi della genetica quantitativa o della neurobiologia, è solo perché la studiamo da più tempo di tutte le altre.

Quali sono i punti “oscuri” dei gobidi oxudercini? Si fa sicuramente prima a parlare dei pochissimi punti su cui si è fatta un pochino di luce!


Quante sono le specie censite attualmente nel mondo? E quali le zone in cui sono distribuite?

La sottofamiglia “Oxudercinae” include attualmente 10 generi e 40 specie. I “perio”, termine che si riferisce alle specie dei generi Periophthalmus e Periophthalmodon, includono rispettivamente 18 e 3 specie. La sottofamiglia ha un ampio areale geografico di distribuzione, che va dalle coste dell’Africa occidentale verso est fino alle isole Samoa e Tonga (e forse anche un po’ più in la), attraverso l’intera regione Indo-Pacifica. Gli oxudercini sono distribuiti perlopiù nella fascia tropicale e subtropicale, ma alcune specie si spingono in zone temperate, come in Giappone meridionale e in Australia orientale, dove in inverno vanno in una sorta di “ibernazione”.

Vivono prevalentemente in aree intertidali, che cioè vengono periodicamente sommerse dalle maree, anche se alcune specie si spingono persino nelle paludi d’acqua dolce. Nel Mediterraneo i loro antenati erano probabilmente presenti… diversi milioni di anni or sono. Con l’attuale tropicalizzazione del mare nostrum non è però escluso che ce li ritroviamo ad entrare da Gibilterra o da Suez! Per esempio, Periophthalmus barbarus si trova già in Marocco, mentre P. argentilineatus è presente nel Mar Rosso.

La maggior parte degli oxudercini è nota alla scienza solo per la loro posizione sistematica (la loro classificazione animale ed il grado di parentela con le altre specie, ancora oggetto di diversi studi scientifici), e per pochissimi resoconti descrittivi o aneddotici. Di alcune specie sono noti solo pochissimi esemplari di museo (per es. Pseudapocryptes borneensis, Scartelaos gigas, o Zappa confluentus)

Fra le specie con più spinti adattamenti alla vita anfibia (i “saltafango” s.s.), come quelle incluse nei generi Periophthalmus, Periophthalmodon, Boleophthalmus, Scartelaos e Pseudapocryptes, alcune sono state studiate abbastanza estesamente per certe problematiche (ancora scientificamente assai produttive) relative alla fisiologia della respirazione, escrezione ed osmoregolazione, per la loro anatomia comparata ed istologia, e in pochi casi anche per il comportamento. Lo studio dell’ecologia di questo gruppo è ancora agli albori, anche per le straordinarie difficoltà operative che offrono gli ambienti in cui si trovano (foreste intertidali a mangrovie e piane tidali fangose)

In effetti, una caratteristica tipica dei saltafango è la loro estrema popolarità (basti pensare al recente spot della birra Guinness, o i vari documentari tipo il recente “Genesis”), e al contempo la quasi totale ignoranza della loro biologia.



foto by R. Cui, Guandong, Cina, 2006


La prima volta che ho visto un perio ho pensato subito al mio libro di storia delle elementari col racconto del pesce che esce dall'acqua "ferma" per colonizzare la terra emersa divenuta in grado di offrire le necessarie condizioni alla vita. Ma qual è la ragione per cui questi pesci hanno sviluppato la capacità di passare tutto quel tempo fuori dall'acqua?

La classica domanda da un milione di dollari! Come ho accennato, è proprio questo l’oggetto del mio studio. Ci sono diverse ipotesi che si possono formulare per cercare di spiegare come mai una linea evolutiva di pesci trovi vantaggioso, in certe condizioni, spostarsi in acque sempre più basse di generazione in generazione, fino a sviluppare comportamenti anfibi. In realtà, dal momento che tutti i vertebrati terrestri (o tetrapodi) non sono che “pesci fuori dall’acqua”, questa è la domanda chiave per capire come mai non ce ne stiamo ancora tutti a mollo, tu ed io compresi.

Come dicevo, gli antenati di tutti i vertebrati terrestri viventi, i “prototetrapodi”, hanno affrontato le prime fasi di questa transizione evolutiva circa 360 milioni di anni fa, nel tardo Devoniano.L’ipotesi attualmente più condivisa è che due processi adattativi ed ecologici abbiano maggiormente contribuito a creare le condizioni adatte per favorire questa transizione: uno che ha “attirato i pesci verso terra”, e un altro che li ha “spinti fuori dall’acqua”. Il primo avrebbe offerto l’opportunità di accedere a nuove risorse (in quel periodo gli artropodi avevano già colonizzato le terre emerse ed alcuni costituivano eccellenti prede potenziali); il secondo quella di sfuggire all’elevato livello di competizione allora presente nell’ambiente acquatico: non per nulla il Devoniano viene chiamato “l’era dei pesci”.

Il modello della “pozza che si asciuga” di A.S. Romer, cui fai riferimento parlando dell’ “acqua ferma” dei tuoi ricordi scolastici, è ormai del tutto superato. Recenti studi indicano che le condizioni in cui la transizione devoniana ha avuto luogo furono sorprendentemente simili a quelle in cui oggi vivono i saltafango. Inoltre, questi ultimi sono soggetti a dinamiche ecologiche simili ai due processi adattativi ed ecologici di cui sopra.


Eccoci ad un punto che sicuramente interesserà particolarmente i lettori di questo sito...la pesca.
Il mitico Sampei li pescava con una tecnica che veniva detta "Matsukake" (o qualcosa di simile) che consisteva in una sorta di pesca a strappo. Esiste una pesca non professionale nelle zone in cui vivono?

Esistono diverse tecniche per catturare i saltafango: in effetti (come spiega bene Sampei, le cui preziose puntate in DVD ho trovato su E-Bay) non sono pesci proprio “facili da pescare”. Qualcuno un giorno disse che “bisognerebbe fare una ricerca di dottorato solo per capire come riuscire a prenderli”. La cosa non è affare di poco, e ha scoraggiato e ancora oggi scoraggia molti ricercatori che vorrebbero studiare questi animali.
Tuttavia, in tutte le culture che si ritrovano i saltafango sotto casa, i pescatori locali ne hanno in genere una buona conoscenza. In Papua Nuova Guinea per esempio ho trovato una corrispondenza quasi perfetta fra l’attuale classificazione scientifica e i nomi comuni in uso presso i villaggi che ho visitato. Ovviamente per catturare specie diverse vanno utilizzate tecniche diverse… non dimentichiamo che stiamo parlando di 40 specie incluse in 10 generi. E dunque, come tutti i pescatori sanno bene, “paese che vai…”

In Gambia, ad esempio, catturano Periophthalmus barbarus con delle trappole a caduta: delle sezioni di grossi bambù sotterrati nel fango e coperti con una foglia. Anche in Giappone (a parte il mitico mustukake così accuratamente descritto da Sampei) catturano Boleophthalmus pectinirostris (o “mutsugoro”) con un attrezzo molto simile, anche se credo che in questo caso sfruttino la tendenza di questa specie ad esplorare potenziali tane abbandonate, infilandosi in qualsiasi buco incontrino durante la bassa marea. In Nigeria catturano P. barbarus con una sorta di nassa di legno con un’esca all’interno.

In Viet Nam meridionale catturano Pseudapocryptes elongatus con una trappola di bambù che ha una piccola apertura su un lato. Dal momento che le tane hanno in genere due entrate, il pescatore ne tappa una con un piede, ed appoggia l'apertura della trappola sull'altra. Il pesce, spaventato dal piede, esce "dall'uscita di sicurezza" e va a finire nella trappola.

In Papua Nuova Guinea catturano i grossi B. caeruleomaculatus con le mani, infilandosi con tutto il braccio nelle profonde tane. In Malaysia catturano perioftalmi e boleoftalmi avvicinandoli lentamente e poi “frustandoli” con un bastone molto sottile, oppure con le reti da lancio, scagliate dalla barca sul bagnasciuga. Una volta in Malaysia ho visto uno “zingaro del mare” (Orang Laut) catturare un boleoftalmo schizzandolo continuamente con acqua e fango da una distanza di 2-3 m e pian piano avvicinandosi avanzando nel fango fino alla cintola, fino a catturarlo con uno scatto con l’altra mano: una sorta di magia. In Australia, in acqua dolce, una ricercatrice ha di recente catturato diverse decine di esemplari di P. weberi con l’electrofishing.

In diversi paesi alcune specie vengono attivamente commerciate per il consumo alimentare: in India (Tamil Nadu) Apocryptes bato e Boleophthalmus spp. sono un importante fonte di cibo durante i monsoni, mentre in Cina, Tailandia, Vietnam e Giappone Boleophthalmus e Pseudapocryptes spp. vengono allevati a scopo alimentare (posso testimoniare che Pseudapocryptes elongatus arrosto è veramente squisito). Nello Yemen (nonostante un divieto alimentare coranico), ma anche in Cina e in Papua Nuova Guinea alcune specie vengono consumate perché si ritiene che abbiano proprietà curative o afrodisiache.


© Ariake lawsuit, 2007



photo by Hiro Masa Matsumoto, 1999





Tu hai mai pescato i Perio? Se si sarebbe molto interessante che ci raccontassi come.

Per le mie ricerche ho dovuto catturare migliaia di saltafango e sono diventato abbastanza abile. Molti li ho dovuti sacrificare (ed alcuni sono ora in diversi musei), ma in diversi casi ho potuto rilasciarli dopo aver preso piccoli campioni o delle misure, in alcuni casi in anestesia. Sono anche uno dei pochi ricercatori che cammina nel fango semiliquido delle piane tidali: la tecnica che ho affinato mi permette di campionare facendo a meno di strumenti come le slitte da fango malesi (donka) o quelle specie di curiosi “monopattini da fango” che usano ad Hong Kong.

Ho ovviamente usato metodi di cattura diversi per specie diverse: per es. in Australia e Malaysia gli esemplari più grandi di boleoftalmi li ho catturati in tana usando la tecnica dei pescatori della Papua Nuova Guinea: infilandovi il braccio e andandoli a cercare a tentoni nelle varie camere. Certo c’è il rischio di imbattersi in un grosso granchio o in un serpente. Per gli esemplari più grandi delle specie carnivore ho usato anche la canna da pesca, ma sono riuscito ad avvicinarli abbastanza da usarla solo nelle vicinanze di abitazioni o pontili, dove i pesci sono abituati alla presenza umana. I piccoli perioftalmi sono più facili da catturare, sempre che si riesca a scorgerli al suolo nella penombra della foresta: bastano un retino a mano, molta concentrazione, pazienza e preferibilmente uno o due aiutanti, visto che possono fare diversi salti consecutivi di oltre un metro ciascuno. In Iran, per motivi a me ignoti, tutte e tre le specie endemiche persiane si riescono a catturare con le sole mani, perché quando si rifugiano in tana rimangono immediatamente dietro all’apertura principale, consentendo così di raccoglierle facilmente all’interno di una manciata di fango. Altre specie (per es. Oxuderces spp.) s’infossano nel fango semiliquido: l’unica possibilità in tal caso è osservare il punto in cui scompaiono e rimestare nel fango con le mani, anche se può essere pericoloso, per via dei velenosi pesci-pietra (Synanceia spp.). Altre specie, come P. chrysospilos, migrano con la marea e le ho catturate con una rete a barriera. Altre ancora le ho pescate durante l’alta marea con piccole reti a strascico (per es. Parapocryptes serperaster, ovviamente solo a scopo di ricerca), oppure ancora retinando alla cieca nell’acqua torbida delle pozze o dei canali tidali (Pseudapocryptes elongatus). Con la rete da lancio mi sono esercitato per ore, ma non ho mai preso nulla.


Esistono pericoli dovuti alla pesca intensiva o che derivano dal degrado ambientale per alcune specie di perioftalmi? Quali sono le zone dove questi pesci rischiano di più?

Riguardo alla pesca o ad altre forme di prelievo, tranne forse alcuni casi particolari, direi che pericolo non ce n’è. Nessuna delle specie è in lista rossa IUCN. D’altro canto non si sa molto della loro situazione a livello di conservazione biologica. Dal momento che il pericolo maggiore viene dalla distruzione del loro habitat, la pesca potrebbe in alcuni casi dare il colpo di grazia a situazioni già estreme.

In Malaysia peninsulare occidentale, per esempio, da oltre 50 anni è in corso una graduale bonifica delle paludi di acqua dolce e poi delle foreste a mangrovie, spostandosi gradualmente verso il mare. La pratica consiste nel costruire terrapieni e canali d’acqua dolce per chiudere l’accesso delle maree verso l’entroterra e quindi bonificare l’area per coltivare. Lungo tutta la costa credo che oggi non esista più un ettaro di ecosistema di transizione fra le foreste a mangrovie “alte” (le cosiddette backforests) e le paludi d’acqua dolce. La progressiva distruzione da terra di queste foreste causa l’estinzione locale delle comunità animali e vegetali che vivono ai livelli topografici più elevati, e che nel caso dei saltafango sono quelle scientificamente più interessanti, in quanto meglio adattate alla vita anfibia. Per esempio, proprio in Malaysia peninsulare, Periophthalmodon septemradiatus (una delle specie più frequentemente importate in Italia dal Viet Nam per il mercato acquaristico) è stato trovato solo nel 2003, nei canali di irrigazione di un piccolo villaggio. E’ probabile che prima delle bonifiche fosse una specie comune nelle backforests malesi, ora pressoché del tutto scomparse.

Ma la Malaysia non è certo l’unico esempio di degrado ambientale, e nemmeno il più estremo. In certe zone dell’Indonesia, in Tailandia, nelle Filippine, in Viet Nam e in Cina, il recente boom delle mazzancolle tropicali (il cosiddetto “tiger prawn” che arriva nei nostri ristoranti) ha causato una distruzione catastrofica dei mangrovieti, che vengono abbattuti per costruire gli allevamenti (o fattorie), estensivi ed intensivi. Il tasso annuo di perdita di copertura vegetale in alcune regioni supera l’8% (quello medio delle foreste equatoriali amazzoniche si aggira attorno al 2%).

In Nigeria, le multinazionali del petrolio come Shell e l’italiana Agip stanno devastando il delta del Niger con continui rilasci di greggio nell’ambiente, con conseguenze difficilmente immaginabili per le locali comunità umane e naturali.

Tuttavia, il pericolo maggiore non è l’inquinamento, ma la pura e semplice distruzione. Gli ecosistemi a mangrovie negli anni ’60 coprivano circa il 75% delle coste tropicali. In pochi anni abbiamo perso quasi un terzo della copertura vegetale globale. Da parte mia, sto cercando di “sponsorizzare” i saltafango come “specie bandiera” per propagandare la gestione sostenibile di questi ecosistemi, unici nel loro genere.




Dal punto di vista dell'acquariofilia sono senza dubbio animali interessantissimi. Immagino che tu avrai allevato molti esemplari di numerose specie diverse, consiglieresti l'allevamento ad un acquariofilo dilettante?

Per la verità ho allevato molte specie solo per ricerca, per periodi inferiori a qualche settimana (generi Periophthalmus, Periophthalmodon, Pseudapocryptes, Oxuderces, Boleophthalmus, Zappa): sono poche quelle che ho allevato più a lungo (Periophthalmus gracilis, P. variabilis e Periophthalmodon septemradiatus). I pesci che ho ospitato per più tempo sono stati tre esemplari di P. variabilis, che ho tenuto in acquario per sei anni. Oggi preferisco tenere gli animali in cattività solo per motivi di ricerca e non ho più vasche per motivi amatoriali.

No, non consiglierei l’allevamento ad un acquariofilo dilettante, per un semplice motivo: i perioftalmi e i perioftalmodonti, di gran lunga le specie più frequentemente importate, sono pesci estremamente resistenti, che quindi, come ad es. capita regolarmente con il classico pesce rosso (Carassius auratus), possono essere torturati per mesi prima di morire alla fine di una lenta agonia.

Consiglio l’allevamento di queste specie con molta moderazione (considerando anche la pressione antropica cui sono soggetti gli ambienti in cui vivono), e solo a chi veramente si appassioni alla loro biologia e sia disposto a rimboccarsi le maniche per documentarsi adeguatamente ed offrire loro il meglio. Riprodurre condizioni adeguate al loro allevamento non è cosa da tutti (come hai potuto constatare di persona) e occorre porre estrema attenzione alle loro peculiari esigenze.

In particolare, si tratta invariabilmente di specie spiccatamente territoriali, perciò vasche di dimensioni “normali” (minore di 300 l) possono contenere stabilmente più esemplari (s'intende "per anni") solo se appartengono a specie di dimensioni modeste (minore di 8 cm di lunghezza totale massima registrata)

Nelle tue numerose pubblicazioni sulla specie hai mai scritto qualche guida utile a chi volesse dedicarsi al loro allevamento?

Ho di recente scritto un articoletto su una rivista divulgativa, “The Coscientious Aquarist”:
http://www.wetwebmedia.com/ca/volume_7/volume_7_1/mudskippers.html

Potrebbe essere il primo di una piccola serie con alcune dritte per chi voglia provare ad allevare un perioftalmo. Ho in progetto un libro sulla sottofamiglia (Nova Science Publishers), che sebbene sia una review scientifica, credo includerà una sezione sull’allevamento in acquario, ma non so se uscirà prima della fine dell’anno. Per il resto c’è il mio sito web!


So che la riproduzione in cattività è molto difficile, se non impossibile, quindi c'è da pensare che tutti i perio in vendita nei negozi siano esemplari di cattura. Secondo te questo mette a rischio alcune specie? Ad esempio i P. barbarus e i P. novemradiatus, che sono poi le specie che si possono trovare con più frequenza nei negozi del settore.

Sono a conoscenza di una deposizione e schiusa di P. modestus in un acquario pubblico in Giappone, nel 2004 (i pesci erano stati catturati da una piana fangosa li vicino); tuttavia, che io sappia non ne esiste documentazione scientifica. La vasca era grande come un piccolo bagno domestico (da una foto ho visto che per farne la manutenzione entravano due persone con una scala a soffietto), aveva uno strato di fango di almeno mezzo metro, e permetteva la riproduzione delle maree. Alcuni articoli scientifici degli anni ’60, sempre di un giapponese, e ahimè in lingua giapponese, credo parlino della riproduzione in laboratorio di alcune specie, come Apocryptodon punctatus. Questo è quanto per quanto riguarda la riproduzione in acquario.

Un'altro mio progetto, purtroppo attualmente in stallo a causa della mancanza di fondi, consiste proprio nella riproduzione di una specie in laboratorio. In generale non sembra un’impresa da poco, anche se ho un paio di idee in mente. Sono anche in contatto con un amico che ci sta provando in Germania da alcuni anni.

Tutti gli esemplari in vendita sono di cattura. E’ chiaro che l’impatto sulle popolazioni di origine dipende da caso in caso. Per esempio, c’è stato di recente un piccolo boom di importazioni di P. novemradiatus dall’India sul mercato americano (la specie cui fai riferimento tu probabilmente non è il vero P. novemradiatus, ma P. variabilis, importato in Italia da Singapore o dalla Tailandia). Da dove vengono questi pesci? Spesso un aumento delle importazioni di questo tipo è legato allo sfruttamento di una certa area (per es., la costruzione di una fattoria di gamberi), ed è perciò possibile che alla lunga contribuisca a depauperare la locale popolazione di pesci.
Rifornirsi da distributori che importano queste specie solo occasionalmente o solo su richiesta potrebbe essere un modo per evitare di alimentare lo sfruttamento continuativo ed intenso di una particolare popolazione. Per fortuna il mercato acquaristico non fa ancora grande richiesta di queste specie, che rimangono in gran parte pesci ornamentali “di nicchia”, ma spero che qualcuno scopra presto come riprodurli in cattività, nella direzione di un’aquariofilia più consapevole ed eco-sostenibile.

In ogni caso, a chiunque capiti in una foresta a mangrovie o in una piana di fango tropicale nella regione indo-pacifica o in Africa occidentale, anche solo come turista di passaggio in un parco naturale o presso un pontile, consiglio di dotarsi di un binocolo, puntarlo sul suolo durante la bassa marea, e di darsi ad un entusiasmante mud-watching.


Bene Gianluca, penso che anche per questa volta ti ho stressato abbastanza con le mie domande.

Ringraziandoti ancora per la collaborazione e per le belle foto che mi hai permesso di "rubare" dal tuo sito, invito nuovamente i lettori a visitare il tuo spazio web e a scoprire i tesori che il fango nasconde.

MUD SKIPPER



foto di Yuko Ikebe

3.11.2010

Carmen Ossola




Siamo con Carmen Ossola (La regina dei laghetti) una signora dallo splendido aspetto che ha la particolarità di gestire uno dei migliori e meglio gestiti complessi di pesca sportiva in Italia cioè Il Nuovo Lago Maggiore a Galliate(NO), si occupa di questo centro e del Verdelago di Viggiu’ (va) inoltre collabora in altre strutture quali tipo il Fonteviva di Biella . Ricopre non per ultimo la carica di Vice Presidente dell’Assolaghi.


Carmen quando hai iniziato questa esperienza e come ti è balenata questa idea?

Ho iniziato questo cammino e questa avventura ben 18 anni fa, quasi per caso, essendomi occupata fino ad allora, in un’azienda di trasporti, di gestione amministrazione personale e altro, poi… grazie a Piero Fantinato, che come ben sai possiede un allevamento ittico, “La Fattoria del Pesce a Loreto”; la proposta di cambiare vita e di gestire il Nuovo Lago Maggiore di Galliate, si rivelo un’avventura perché proprio non ne sapevo niente di pesca, pescatori, bar ristoranti e tutto quello che ne è cresciuto nel tempo. Ritengo che mai scelta fu piu’ felice, molto impegnativa , ma piena di grandi soddisfazioni.
Qualcosina prendo anche io...

Quali sono le maggiori difficoltà che incontri in questa attività?

Difficolta’? cosa sono? Solo passaggi durante la strada che si percorre ogni giorno.
Io non le ritengo difficolta’, ho la fortuna di fare un bellissimo lavoro tra persone che vengono nel mio lago per trascorrere ore liete praticando lo sport tanto amato, quindi ogni sacrificio di tempo e impegno è ben ripagato. Pensa se avessi lavorato nell’ufficio delle tasse e avessi incontrato tutti i giorni persone arrabbiate!!

Che pesci immetti e dove li prendi?


I Pesci arrivano dalla “Fattoria del Pesce”. Mai nome sembra più azzeccato essendo immersa anche essa nel verde del Parco del Ticino ed esattamente ad Oleggio in Fraz. Loreto. Tel. 0321/97149. Vende al dettaglio(anche pesci per la pesca col vivo) e all’ingrosso. Anche perché ad essere sincera il proprietario Piero Fantinato l’ ho sposato……

Video 1

Le immissioni sono costanti effettuate ogni giorno, per ben due volte, direttamente da camion, oltre alle pregiatissime trote iridee, che sono la forza di tutte le pesche sportive oltre ad essere i pesci piu’ voraci, ogni domenica vengono immessi storioni, che possono essere visionati per tutta la giornata nella vasca posta all’ingresso del Lago, poi lucci, trote salmonate anche di grosse dimensioni. Proprio a febbraio si è conclusa con la Gara alla trota piu’ grossa e il vincitore si è aggiudicato il primo premio con una cattura di 5,850.
Poi a seconda delle stagioni si integrano le immissioni con trote fario e salmerini nei mesi piu’ freschi, con channel americani e anguille nelle stagioni piu’ calde, durante le quali impazzano le pesche in notturna con le gradite abbuffate di mezzanotte e poi amatissimi dai pescatori i Branzini d’acqua dolce, buonissimi da mangiare e ambitissimi da pescare.




Negli ultimi 10-15 anni le licenze sono più che dimezzate per le acque pubbliche. Tu che riscontro hai avuto in fatto di clientela?

Tasto dolente, se le acque pubbliche hanno subito una grande recessione dovuta alla scarsita’ di pescato “forse”, alla ricerca di comodita’ di “sicuro”, infatti è di primaria importanza la necessita’ di unire lo sport ai servizi, bar ristoranti sponde piane etc etc. Anche noi abbiamo naturalmente sentito il peso della crisi. Infatti i numeri dei pescatori nel tempo sono diminuiti e purtroppo molti hanno dovuto rinunciare a qualche pescata in piu’ avendo delle priorita’ che li hanno costretti ad accantonare la grande passione per la pesca.
Ma i pescatori sono pescatori per sempre e magari una volta in meno ma tornano tornano sempre.



A parte le solite trote e storioni quale pesce stà prendendo piede fra i tuoi clienti?

Come ho gia’ spiegato prima le immissioni seguono le stagioni ed ogni stagione ha il suo pesce preferito.
Amata tantissimo è la trota grossa, si una bella cattura da sempre tanta soddisfazione, ma una pregiata fario, un bel salmerino e i Branzini. Siì i branzini sono ricercatissimi e la loro cattura sempre ambitissima.



Naturalmente avete controlli sanitari e di altro genere……


Naturalmente, noi trattiamo pesce che non dimentichiamo è da portare in tavola, quindi tutto il pesce immesso è sottoposto a controlli sanitari gia’ all’origine, nell’allevamento, per quanto riguarda le nostre acque se non fossero piu’ che pure ed equilibrate in freschezza e ossigenazione il pesce non potrebbe vivere, per questo i controlli sono costanti e molto molto attenti.

Video storione sui 25 kg

Vuoi consigliare i lettori che non sono vicini al tuo lago dove recarsi in Piemonte o Lombardia per la pesca a laghetto?

Io, come VicePresidente dell’assolaghi invito tutti, in qualunque posto d’Italia si trovino a prendere visione del sito dell’Assolaghi : www.assolaghi.it
E’ un sito facile da consultare, diviso per regione e con spiegazioni su ogni lago quindi la scelta la lascio ai pescatori.

Ci parli dell’ evento che più ti coinvolge fra le manifestazioni che organizzi?

Sicuramente la Gara dei Bambini che si svolge ogni anno a settembre.
E’ una manifestazione che organizzo ormai da molti anni, dove i genitori, a volte pescatori a volte no, dedicano ai loro figli una pomeriggio di pesca, li aiutano li assistono e soffrono a non poter pescare, perché il lago è strapieno di pesce e le catture sono moltissime e facili anche per i bimbi alle prime armi.
Tutto comincia con l’iscrizione, gia’ dal mese di giugno, ove viene data una canna da pesca, un mulinello, 10 ore gratis e naturalmente l’iscrizione alla gara. Potranno cosi’ allenarsi durante l’estate accompagnando e facendo impazzire i papa’ .
E poi è una festa piena di allegria e divertimento. Siete tutti invitati.



Mi permetto di aggiungere che tutti coloro che vogliono informazioni o avere i programmi con le promozioni del lago possono scrivermi e io gli inoltrero’ la documentazione.Per la mia mail basta cliccare QUI

Vi aspetto!!!!!!!!!


Ringraziamo Carmen per la sua disponibilità e invitiamo i lettori a visitare il sito
NUOVO LAGO MAGGIORE

Vi lasciamo con un VIDEO



Pescare nei laghi di Bertignano e Masserano (entrambi nella provincia di Biella)

Dal PDF (stranamente scaricabile) della provincia “” In provincia di Biella le acque gravate da vincoli particolari sono: ...