Articolo e fotografie di Marco Altamura
Il Lucioperca o Zander è riginario dell'Europa centro-settentrionale e di quella orientale nonché dell'Asia occidentale, è stato introdotto in molti paesi europei agli inizi del XIX secolo, con notevoli conseguenze ambientali.
In Italia fu introdotto tra il 1902 e il 1908 nei laghi di Comabbio e Pusiano ed in seguito in tutto il nord Italia, ma oggi sembra sia diffuso solamente in alcuni laghi (Orta, Lugano, Como, Comabbio, Maggiore, Corbara, da cui si è poi diffuso nell'intero corso del Tevere fino alla città di Roma), e lungo il corso del fiume Chienti. Una grossa popolazione è presente anche nel fiume Po nonché in gran parte delle acque del piano della Pianura Padana. Vive nei tratti inferiori dei fiumi e nei laghi a grandi e medie dimensioni, con acque ben ossigenate. soggetti più longevi raggiungono l'età di 20 anni, 130 cm di lunghezza per un peso di 15 kg.
Quest’anno l’inverno appena trascorso non ha mostrato la sua parte più dura e le temperature registrate ( almeno nella fascia dei laghi prealpini ) non sono mai state troppo rigide nemmeno durante le lunghe notti; solo in due occasioni nel mese di gennaio si sono registrate gelate notturne e questo dovrebbe anticipare la ripresa di tutti gli ecosistemi, compresi ovviamente quelli acquatici, accelerando l’attività dei pesci partendo da quelli plantofagi per arrivare al vertice della catena alimentare costituito dai predatori. Sono soprattutto le temperature notturne non più così crude a rimettere in moto tutto l’ecosistema che poi durante le ore di luce registra un riscaldamento graduale della temperatura dell’acqua con i raggi del sole che sono sempre più caldi. Queste condizioni se da una parte non sono più così favorevoli per insidiare il pesce che amo più di tutti e cioè la trota lacustre.
Ruggero Nibbio pres. pescatori di Mergozzo |
Con questi presupposti decido quindi di pianificare alcune uscite a jigging con lo scopo di ricercare il lucioperca che, con il cambiamento di stagione, inizia ad avvicinarsi ai litorali per selezionare le aree di riproduzione che nei mesi di aprile e maggio lo vedranno deporre le uova per dar seguito alle future generazioni. Innanzi tutto devo decidere gli attrezzi da impiegare ed il ballottaggio all’interno dei prodotti "Rapture"a mia disposizione mi vede dover prendere una decisione tra le canne da spinning "Intruder" e "Inova", entrambe validissime ma con caratteristiche tecniche diverse.
La razionalità mi farebbe propendere per la Inova da mt.2.40 con range di potenza gr.20/50 in quando la tecnica del Jiggging presuppone l’utilizzo di un attrezzo potente, sensibile e con un’azione "H" accentuata, capace di forzare il pesce e letteralmente di "strapparlo" al di fuori dagli ostacoli del fondo e dalle varie strutture; ma noi spinner si sa non siamo quasi mai razionali e così decido di impiegare la gloriosa Intruder sempre da mt. 2.40 ma con un range di lancio di gr. 14/40 ed azione "MH", il tutto per privilegiare al massimo il divertimento ed amplificare le emozioni con un pesce di grossa mole in canna. Così, presa la decisione sulla canna, tutto il resto diventa una logica conseguenza di scelte "a cascata": abbino alla Intruder il mulinello SX-1 taglia 4000 che, oltre ad essere il top di gamma Rapture per lo spinning in freshwater, rappresenta una sicurezza in fatto di resistenza, scorrevolezza di recupero ed affidabilità di frizione. Carico la bobina dedicata ai fili "braided" con cento metri di trecciato Dyna Tex Spin X4 dello spessore mm 0.14 di colore verde scuro al quale connetto con un nodo "Tony Pegna" o "Doppio Allbright" sempre ben eseguito, uno spezzone di circa un metro e mezzo di monofilo Spin Zander Cristall di spessore mm 0.307 dal contenuto allungamento per trasmettere le più subdole abboccate in totale assenza di memoria meccanica.
Inizio così a perlustrare la porzione d’acqua davanti a me caratterizzata da un fondale di circa sette metri di profondità con diverse asperità che se da una parte minano la sicurezza dei miei artificiali, dall’altra rappresentano un valido punto di riferimento per localizzare le posizioni del percide; la sandra infatti ama sostare nei pressi di ostacoli sommersi e ancor di più posizionarsi sopra gli ostacoli stessi per dominare tutto il territorio circostante. Da ciò ne consegue che risulta fondamentale far transitare i nostri artificiali in questi punti caldi ponendo la massima attenzione anche agli attacchi più subdoli, tutt’altro che improbabili quando si parla di questo splendido predatore. Inoltre, vista la ancor bassa temperatura dell’acqua, necessita muovere molto lentamente (quasi al rallentatore) l’artificiale nei pressi del fondo con piccoli saltelli e lunghe soste tra un movimento e l’altro.
Solitamente il perca nel periodo precedente la riproduzione attacca con meno circospezione la sua preda e ciò mi dovrebbe facilitare la percezione degli attacchi stessi. Insisto parecchio nei pressi dei plinti sommersi di attracco di un pontile perché qui in passato ho conseguito belle catture; in particolare faccio salire il Power Shad sopra l’ostacolo per poi, accompagnandone il movimento, farlo collassare sul fondo.
Se il perca è presente, non tarderà a portare l’attacco. Eseguo il tutto secondo i crismi ma purtroppo del perca nessuna traccia. Inizia ad insinuarsi nella mia mente la possibilità che i perca non siano ancora giunti sotto costa, ma siccome sono mosso da un’incrollabile fiducia mista a voglia di condurre un’esaltante combattimento, continuo a sondare il fondale. Nel frattempo le nuvole si sono posizionate davanti al sole creando un cono d’ombra molto interessante per l’incontro con questo atipico predatore; ripeto tra me e me che devo porre ancora più attenzione ai prossimi passaggi dell’artificiale nei pressi dei plinti di ancoraggio e resto concentrato nella mia azione. In uno dei tanti passaggi eseguiti in zona, finalmente percepisco qualcosa di anomalo: la mia Intruder unitamente al trecciato ed al terminale mi trasmettono distintamente al polso un movimento dell’artificiale che mi ricorda il tentativo come di scacciare questo insolente intruso. Non è certo un atto predatorio ciò che sta avvenendo in profondità ma, come mi è stato insegnato molti anni fa da un vero maestro di tale tecnica, decido di portare una robusta ferrata che immediatamente avvalora i miei ottimistici pensieri ! Subito la Intruder si flette sotto le poderose puntate del pesce che pare essere di buona taglia; allento la regolazione micrometrica della frizione e mi appresto ad assecondare le sfuriate del predatore che non si è ancora palesato alla vista. Il dolce stridere della frizione accompagna tutte le fasi del combattimento e, dopo un lasso di tempo che non riesco a quantificare, finalmente affiora dalle profondità lacustri la mia preda; a sancire le mie percezioni fatte qualche minuto prima, vedo che l’artificiale ha fatto presa all’esterno del coriaceo apparato boccale del perca, proprio sotto la mascella inferiore come se il pesce volesse solo allontanare da se l’insidia.
Questo atteggiamento è tipico del periodo della riproduzione che accentua l’istinto di aggressività e di territorialità del predatore. Motivo in più questo per accelerare le operazioni di salpaggio del pesce e ridargli l’ampiamente guadagnata libertà. Dopo aver avuto conferma che le operazioni logistico/parentali di questi pesci sono iniziate, afferro il pesce con una presa opercolare che non gli arreca alcun danno e tolgo l’amo ben posizionato sotto la bocca. Chiedo velocemente ad un amico ristoratore del luogo che nel frattempo è accorso per gustarsi le fasi del combattimento di scattarmi alcune preziose foto e con soddisfazione rendo la libertà al pesce che lentamente riguadagna le profondità del suo lago. Il primo perca dell’anno che ho stimato pesare circa quattro chilogrammi ha esaltato la validità del mio approccio e della mia attrezzatura.
Ora insieme all’improvvisato fotografo decido di gustarmi una birra. Dopo la sosta sono giunte le ore diciotto e, purtroppo, il cielo si è ulteriormente rasserenato inibendo per il momento le restanti possibilità di cattura che riprenderanno vigore solo quando il sole tramonterà dietro i monti. Approfitto della momentanea pausa per cambiare il finale e decido di provare con un altro artificiale siliconico: estraggo dalle tasche del mio gilet una busta contenente sette Swing Shad (novità 2016) questa volta nella versione bicolore Chartreuse Ghost lunghi 3.8 inch ( 9,5 cm ) e ne innesco uno su una jighead da 10 gr. con amo misura 3/0. Questo artificiale, andando incontro ad una situazione di luce più tenue, può vantare due ulteriori fattori attrattivi e cioè le maggiori vibrazioni emesse dal corpo corrugato e dalla coda a timone e la maggior visibilità in acque profonde, unitamente agli altri fattori che contraddistinguono tutti i siliconi Rapture ( presenza di glitter, duttilità estrema, abbondante salatura e scent all’aroma di pesce ).
Sono ormai cinque anni di fila che, facendo riferimento al palo più esterno, realizzo la cattura di un lucioperca più o meno nello stesso periodo stagionale e questa continuità mi fa ben sperare; sto molto attento nel far saltellare sul fondo la mia insidia perché qui il fondale è letteralmente ricoperto da legnaie e manufatti in metallo. Il rischio di incaglio è molto alto, ma lo è altrettanto la possibilità di effettuare il tanto sospirato "strike". Sono ad una trentina di centimetri dal palo su un fondale di circa cinque metri e, mentre percepisco tramite gli input mandatimi dalla canna, che vi è sul fondo una sorta di piattaforma rialzata di circa un metro quadro, mi appresto a far collassare l’artificiale dal bordo della piattaforma al fondale vero e proprio. Accompagnando sempre con il braccio anche questa fase di rilascio, percepisco un brusco quanto nitido ed inconfondibile colpo sordo e quindi ferro con vigore; ho in canna il pesce e scommetterei che questa volta si è letteralmente "bevuto" il mio artificiale. La difesa risulta molto più strenue del primo perca allamato e una serie di poderose testate e fughe laterali esaltano la frizione dell’SX-1 che mai come ora si dimostra uno strumento affidabile e sicuro. Ci metto un po’ di tempo per veder affiorare dal fondo il pesce, ma quando ciò avviene ho la conferma di quello che ho pensato qualche minuto prima. Questa volta il predatore ha tutto lo shad in bocca e l’attacco è frutto di un’azione predatoria e non condotta per fastidio od insofferenza verso l’intruso.
Con il pesce ormai a galla, cerco un luogo sicuro dove poterlo spiaggiare e questa operazione mi costringe a trascinarlo fino alla più vicina scalinata in pietra che però risulta essere estremamente viscida perché ricoperta di limo verde che rende il reggersi in piedi estremamente problematico. Non senza difficoltà e sedendomi letteralmente sui gradini scivolosi riesco ad infilare le dita della mano sinistra nell’apertura branchiale del pesce mentre con la mano destra tengo la canna alta con il filo in trazione. Salpato il pesce ho finalmente qualche istante per godermi la sua bellezza; la sua mole è simile al precedente e fatico un poco per liberarlo dall’amo dell’artificiale.
Chiamo ancora l’amico titolare dell’esercizio commerciale vicino e lo prego di immortalarmi di nuovo con la preda; dopo una decina di scatti riossigeno il pesce con movimento ritmico in acqua e quando è il pesce stesso a riprendere vigore lo lascio ritornare al suo fondale. Decido che per oggi può bastare e avrò tutto il tempo che mi separa dalla prossima uscita per riassaporare il gusto dolce di queste catture. Dopo aver visionato sul piccolo schermo della mia macchina digitale le foto dei due pesci, ripongo la mia attrezzatura nel bagagliaio dell’auto e imbocco la strada del ritorno. Per l’ennesima volta il "mio" lago ha voluto donarmi una gioia incommensurabile.
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