Una manciata di artificiali in acque
di cristallo
Testo e
fotografie di Marco Altamura
Avevo iniziato a testare le attrezzature messemi a
disposizione da “Rapture” in pieno inverno, nella stagione cioè durante la
quale risultava molto complicato effettuare catture da allegare sotto forma di
foto alle relazioni stilate su canne, mulinelli e artificiali. Me l’ero cavata
con qualche bell’esemplare di Lacustre, alcuni grossi cavedani ed un inaspettato
luccio di grande mole; a dire il vero mi ero subito reso conto della qualità
dei materiali in questione semplicemente tenendoli tra le mani, ma occorreva
una prova documentata sul campo per
testimoniare quanto ampiamente e dettagliatamente trattato nei testi. Poi, con
l’arrivo della bella stagione, ho avuto modo di effettuare ottime catture anche
di grossi pesci che mi hanno permesso di fornire un ampio panorama fotografico
di supporto alle relazioni ed agli articoli. A questo punto mi mancava un test da effettuarsi in acque correnti alla
ricerca di salmonidi utilizzando un’attrezzatura da “light spinning”; l’idea
era quella di usare la nuova Delsol, una classica due sezioni di lunghezza mt
2.40 nel modello S 802 ML con potenza di lancio da 3 a 15 gr effettivi (1/8 – ½
Oz ) e un Line rating di 4–10 Lbs, adatta
ad uno spinning da praticarsi con artificiali dal peso contenuto, sfruttandone
la capacità di proiettarli a grandi distanze e, al contempo, di percepire ogni
piccolo movimento degli stessi in acqua grazie alle doti di grande sensibilità
e controllo. L’occasione mi si è presentata un sabato di maggio, quando cioè un
forte temporale del giorno prima aveva innalzato il livello delle acque del
fiume preso in esame per l’uscita, mettendo in attività predatoria le trote.
L’unico dubbio era rappresentato dal colore delle linfe che non dovevano
risultare troppo opache, pena la scarsa visibilità da parte dei pesci nei
confronti degli artificiali proposti. Dopo un rapido consulto su internet per
apprendere come si sarebbe presentata la giornata dal punto di vista del meteo,
decido di partire per la montagna e nel breve volgere di un’ora sono sul posto
prescelto; purtroppo devo constatare che le acque sono grigiastre, molto più
adatte ad una sessione di pesca con le esche naturali piuttosto che con gli
artificiali. Ma tant’è e quindi opto per iniziare perlustrando una lunga
spianata a corrente moderata con un ulteriore apporto d’acqua dovuto allo
straripamento di un canale sovrastante. Questo posto in tanti anni di
frequentazioni mi ha regalato belle catture di trote Fario e Marmorate, ma oggi
la giornata è estremamente luminosa e ciò non depone a mio favore. I salmonidi
sono pesci lucifughi, ovvero amanti della penombra, e con una grande luminosità
rimangono al riparo negli anfratti del fondo per uscire in caccia solo la mattina
presto e al crepuscolo. A mio favore però c’è il fatto che l’acqua alta e
velata trascina a valle una grande quantità di alimento che le trote sono
pronte a non farsi sfuggire.
Sono momenti questi che possono regalare anche
catture eccezionali in termini di peso; in situazioni analoghe mi è capitato
più di una volta di catturare la “Big”, quasi sempre una Marmorata del peso
anche di 3/4 kg. Eccitato da questi pensieri inizio ad ispezionare la corrente
utilizzando uno Spinner VB del numero 3 con paletta oro e punti rossi.
L’artificiale entra immediatamente in rotazione appena tocca l’acqua e questa è
una qualità indispensabile per un cucchiaio rotante quando si opera in acque
correnti, considerando che il più delle volte l’attacco avviene durante i primi
metri di recupero. Inoltre “tiene” bene anche le correnti moderate e, in una
situazione come quella odierna di acque opache, può contare oltre che sul senso
della vista dei pesci, anche sulle vibrazioni a bassa frequenza emesse dal
corpo a campana, vibrazioni percepite dall’orecchio interno del pesce e dalla
sua linea laterale, entrambi meccanismi molto complessi che facilitano la
localizzazione delle prede. Proseguo risalendo il fiume ed ispezionando il sottoriva
opposto con lanci mirati nelle zone d’ombra generate dalla vegetazione
ripariale e, giunto nei pressi di un grande salto d’acqua che occupa tutta la
larghezza del fiume, mi prodigo con lanci che sondano le correnti di ritorno
situate ai bordi della cascata e finalmente ho modo di apprezzare la
sensibilità e la prontezza di reazione della Delsol quando ferro in sequenza
due trotelle di circa venticinque
centimetri che
attaccano con veemenza il rotante.
Niente a che vedere con la potenzialità che
questo luogo può offrire e così, dopo una mezz’ora, decido di spostarmi con
l’auto alla ricerca magari di qualche affluente dalle linfe cristalline. La mia
scelta ricade su un tributario posto qualche chilometro a monte caratterizzato
dalla forte pendenza che facilita lo scarico veloce delle onde di piena,
riportando in breve tempo il livello idrico e la trasparenza dell’acqua a
livelli ottimali. Ovviamente questo posto richiede un approccio del tutto
diverso rispetto a come ho affrontato il fiume di fondovalle; qui l’ambiente è
molto ristretto, l’acqua è limpidissima e lo spazio utile per ricevere
l’attacco è molto limitato, ergo necessitano alcuni accorgimenti fondamentali
per averne successo. Innanzi tutto è fondamentale affrontare il riale in
risalita, bisogna inoltre porre molta attenzione nel non proiettare la propria
ombra in acqua ed infine occorre essere estremamente precisi nel lancio perché
qui più che in altri luoghi è assolutamente imprescindibile “mettere”
l’artificiale nel punto esatto dove il salmonide staziona in attesa di cibo.
Anche
parte dell’attrezzatura va adattata al luogo, iniziando dal mulinello che
dall’SX-1 4000 FD passa allo stesso modello ma di taglia 2000 caricato con il
solito trecciato Dyna Tex Spin X4 di colore verde nello spessore mm 0.10 con un terminale di circa settanta centimetri
di fluorocarbon Fluo Spin dello spessore mm 0.181 connesso tramite un nodo”
Doppio Albright”.Qui trovano la loro corretta applicazione artificiali di
dimensioni e pesi contenuti come il “Trout Fry”, l’”Hot Bean”, l’”Hiroshi
Minnow 50” e lo “Spinner VB”, veri gioiellini micidiali per questo tipo di
acque. Con queste premesse inizio a risalire il riale affrontando i vari spot
con l’Hot Bean che con la sua paletta
direzionale pronunciata è adatto a sondare le profondità delle piccole buche e
dei salti d’acqua; la prima a farne le spese è una coloratissima Fario di 24 cm
che si è “materializzata” dal nulla ed ha aggredito con insospettata ferocia il
piccolo crank: veloce foto di rito e ritorno nelle spumeggianti linfe del suo
riale. Ora risalendo incontro una spianata di circa venti metri dove l’acqua
profonda circa cinquanta centimetri lambisce un muraglione di contenimento
scavando alla base dello stesso interessanti rifugi per i salmonidi; decido di
sondare lo spot accucciato presso il terreno per celarmi alla vista dei pesci
e, dopo aver cambiato artificiale ed aver optato per il Trout Fry nella
versione da 48 mm per 4.0 gr di peso, effettuo il lungo lancio ed attuo un
lento recupero che parte da dove l’acqua spumeggiante genera la spianata per
giungere proprio vicino alla mia postazione. Arrivato quasi a fine corsa,
l’artificiale viene aggredito con fermezza da un’altra Fario uscita da sotto le
fondamenta del muro citato: il poco filo in bando fa si che la trota si ferri
da sola ed attui una strenua difesa fatta di salti e capriole fuori dall’acqua
prima di arrendersi per la foto ed il meritato rilascio.
Continuando a risalire
vedo molte trote, alcune anche di discreta taglia, fuggire impaurite dalla mia
presenza compromettendo di fatto le possibilità di altre catture. Intanto si è fatta l’ora di pranzo e scendendo
verso valle incontro una vecchia Osteria nella quale è ancora possibile gustare
piatti locali dal sapore antico. Non me lo faccio ripetere due volte e ne
approfitto; le ore susseguenti non sono propizie a questo tipo di pesca così
decido di togliere gli stivali, sedermi appoggiandomi ad un albero ed attendere
che il sole descriva ombre più lunghe e mi consenta un approccio più credibile.
Verso le ore sedici, rifocillato e riposato, decido di riaprire le ostilità con
rinnovato entusiasmo ed inizio a risalire un altro affluente parallelo a quello
del mattino; qui la pendenza è minore e sono più frequenti le cascatelle con
annesse spianate in cui le trote trovano riparo lateralmente sfruttando le
radici degli alberi e qualche manufatto di contenimento. Traggo molta
soddisfazione dall’utilizzo del Trout Fry e dal suo movimento lento e sinuoso,
capace di essere efficace anche in pochi centimetri d’acqua; amante come sono
dei lipless, riesco a tirar fuori il meglio da questo artificiale che
abbisogna, visto la mancanza del timone direzionale, di continue sollecitazioni
impresse con il vettino della canna per animarlo a dovere ed avvicinarlo il più
possibile alla figura di un pescetto dall’andamento incerto e pertanto più
vulnerabile.
Identifico in una lenta correntina il luogo ideale per l’utilizzo
di questo artificiale e, dopo il lancio, lo richiamo a favore di corrente
alternando brevi scatti a soste anche di qualche secondo; proprio durante una
di queste soste vedo “staccarsi” dal fondo una trota che con una fulminea
virata afferra la parte posteriore del Trout Fry e riparte contro corrente.
Corta ferrata di polso e mi ritrovo all’altro capo del filo uno spettacolo di
colori: le Fario di questi ambienti hanno livree bellissime ed alcuni
esemplari, rari a dire il vero, possono vantare nel patrimonio genetico la
provenienza dal ceppo Mediterraneo, presente in Italia ormai in pochi paradisi
sopravvissuti alle semine scellerate di materiale di dubbia provenienza tipiche
degli anni ’80 e ’90. La Fario in questione, pur essendo del più rustico ceppo
Atlantico, si fa ammirare per delle coloratissime macchie “parr” distribuite
lungo tutta la lunghezza dei fianchi e tipiche degli esemplari giovani. Solita
foto e via, di nuovo in acqua. Non ho ancora utilizzato uno dei miei
artificiali preferiti, l’Hiroshi Minnow 50, e quindi risalgo alla ricerca di
uno spot adatto a questo piccolo minnow.
Ne scelgo uno con fianchi oro , finitura a specchio e dorso nero (
goldayu ),
lo connetto al terminale con un nodo a gassa e sono pronto a
sfruttarne le doti catturanti. Incontro un salto d’acqua di circa un metro di
altezza sotto il quale la schiuma al centro lascia spazio ad invitanti ritorni
di corrente laterali con anche zone ricoperte da vegetazione che rappresentano
sicuri rifugi dai quali le trote tendono agguati agli incauti animaletti
bentonici; proietto il piccolo minnow ai lati della cascatella e mentre nella
parte sinistra dello spot non registro alcun attacco, sulla destra un’altra
Fario non si fa sfuggire l’occasione di farsi uno spuntino! La Delsol risponde
con prontezza e subito mi ritrovo in canna quella che poi si rivelerà la trota
più bella della giornata. Si tratta di un pesce di circa trenta centimetri, una
femmina dai colori chiari con punti di un rosso vivo e presenza di macchie
“parr” sui fianchi. Ha aggredito l’artificiale in pancia ed è rimasta vittima
dell’ancorina centrale; la adagio su una roccia e, dopo le foto, la rilascio
nel suo torrente. Ora non mi rimangono molti spot a risalire perché il riale
diventa sempre più piccolo; ricordo che un po’ più in alto vi sono ancora due
salti d’acqua discreti e prima di riporre le armi voglio raggiungerli.
Sostituisco l’Hiroshi Minnow e torno all’Hot Bean con finitura Silver per
sondare bene la colonna d’acqua della prima cascatella; la sua innata tendenza
a “tuffarsi” in profondità lo porta proprio davanti al muso di una Fario in
attesa di cibo che manifesta subito di apprezzare il menù e attacca con
decisione: breve combattimento, foto con l’esca in bocca ed immediato rilascio.
Qualche decina di metri più a monte raggiungo l’ultimo spot pescabile e decido
di affrontarlo con l’antesignano di tutti gli artificiali: il cucchiaio
rotante. Prelevo da una tasca del mio gilet ( Pro Tech Pack ) il già citato
Spinner VB con pala oro e punti rossi e lo connetto al terminale con l’ausilio
di una piccola girella + moschettone per scongiurare fastidiose torsioni del
monofilo. Il numero tre della serie in realtà è sovradimensionato per questo
riale, ma decido comunque di utilizzarlo; lanci brevi e precisi mi consentono
di essere efficace non appena l’artificiale tocca l’acqua e la perfetta
rotazione della paletta mi regala l’ultima trota della giornata, un’altra Fario
di 28 cm che catturata in un luogo così angusto si può a ragione considerare
un’ottima cattura. Anche se non escludo la presenza di altre trote più a monte,
ora non è più possibile proseguire per le esigue dimensioni e la scarsa portata
d’acqua del riale.
Velocemente smonto l’attrezzatura, mi arrotolo gli stivali
fino alle ginocchia, rubo un ultimo sguardo a quel paradiso e mi incammino in
discesa fino a ritrovare l’auto che raggiungo dopo circa quaranta minuti.Anche
se l’intenzione primaria era quella di pescare sul fiume principale, le
circostanze mi hanno dato l’opportunità di trascorrere alcune ore in un luogo
incantato dove ho assaporato il gusto di uno spinning dal sapore antico
riproposto in versione attuale con l’utilizzo di attrezzature all’avanguardia
nel rispetto delle tradizioni che la montagna sa offrire a chi ne apprezza fino
in fondo la sua essenza. A consuntivo, posso ritenermi soddisfatto per le sei
trote catturate in un contesto che ha messo a dura prova le attrezzature in
primis, la strategia di un corretto approccio poi, e le doti fisiche necessarie
per affrontare in sicurezza questi ambienti considerando che l’orologio del
tempo cammina inesorabilmente e non concede deroghe a nessuno.
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